I
E tutto il tuo splendore
mutò in fiamma e 'n gelo,
'sì che invano m'affanna
la catena a cui anelo.
Già incedo, senza sguardo,
cercando un volto, perso,
tra specchi, diverso,
sconosciuto; e non m'appare
sbiadita se non imago,
bianca, le cui lettere
incido come segni
inestinguibilmente
assenti di mistero.
III
Cos'è che rendon vaghe
di parole le pagine
mai scritte? Mai l'ultima
sillaba osa svelarsi
al di là del bianco.
Déttami fiumi e mari,
monti e valli. E ancora
altro bianco s'assomma.
L'inchiostro troppo spesso
l'ingenuo candor macchia
sbiadendosi il non detto.
IV
Al crocevia son giunto
ferito, esausto, senza
le rose sanguinanti
che coronavan spine.
Sale al mare... Padre.
Acqua alla terra... Madre
Terra alla terra... Assenza.
Sole e notte soltanto.
Non mai luce d'amore
disvelò l'asprezza in me,
la cui forma s'effigia
nel freddo ghiaccio scultoreo
che presto diverrà
(venale 'ngegno d'opra)
sogno e abbandono, inerte,
che suol mutarsi in pietra.
VII
Di dirti cose liete o ebrezze
non ho stasera ormai più voglia.
Un altro giorno mi rimane
(fosse sol vano il tuo ricordo!)
di ciò che persi o in te acquistai,
vittima anch'io dei desideri.
Tu non cedi a lusinghe;
non sai darti arie strane.
Vaneggio, rosa secca
che mi spezzi, son folle...
Gioie queste?... Più non volle
Dio che fedele restassi;
eppure fede prestai
in cambio di promesse;
conforto ebbi ancora; e te
e me, coinvolti in intrighi,
illusioni. Poi scrivo
solo il nome che mi resta:
abbandono. Poesia.
X
Dell'Inverno rimase il suo biancore;
di te: dolcezza, odore.
Triste mondo pallido
bagnato di rugiada
che alacre d'usignuoli
l'alba fai! Da richiamo
incantato lor, insonne,
fui rapito. Si, tu vieni
solitaria, pur vicina
siedi, sempre distante.
Toccami, ch'io non senta
l'inutile distanza,
ma il tuo respiro, solo,
una lieve fresca brezza,
di non sapere ('sì chiara mi guardi!)
che t'ho perduta un giorno... Eternità.
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giovedì 26 novembre 2009
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