Tempo verrà che forse ben ne uscirò io vivo da questo sortilegio che 'l core tutto morse, né mi lasciò giulivo ma affanno e vil dispregio. Com' dolce gran bel fregio mostravansi d'attorno ruscelli e vaghi augelli, e di fior tra i più belli, nell'aere. Quel lucente e novo giorno mi coverse di sogni leggiadria. Restai muto e solitario in tra la via.
Il sole sovrastava a noi la testa e il mite sembiante agli occhi spinse d'amore e gioia a ricovrirne un manto. Ali ai vaghi pensier novelli desta e non so come e quando mi si 'stinse in ora così presta il dolce canto. Perdut'è 'l trepido calor, l'incanto, ed erro per selve com'om cercando un simulacro suo d'imago o voce simulando poi dir che: "non è croce!" fingendo il tutto van ma vo pregando e cado a terra e immane dolor verso e ciò che ver nella vita c'è ho perso.
Poi chieggio a Dio la luce che mi guidi 'sì che mi desti al dolce porto quiete. "Vani discorsi te n' vai teco ansando!..." 'sì mi parla voce (sembra non m'arridi!) "Signor del ciel, che il tutto sai e 'l potete, nascondimi ve n' prego al tuo bel canto" Tutt'è vano di ciò che un dì fu vanto! Un rivo amaro mi sorge sul ciglio e fremo e non so più dove io mi sia e grido senza voce, spento, muto. Che rimarrà?... in te più non m'appiglio; fuggendo in nessun loco trovo pace e il sonno vince e placa e tutto tace.
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