domenica 29 novembre 2009

Petrarchesca

     Tempo verrà che forse
ben ne uscirò io vivo
da questo sortilegio
che 'l core tutto morse,
né mi lasciò giulivo
ma affanno e vil dispregio.
Com' dolce gran bel fregio
mostravansi d'attorno
ruscelli e vaghi augelli,
e di fior tra i più belli,
nell'aere. Quel lucente e novo giorno
mi coverse di sogni leggiadria.
Restai muto e solitario in tra la via.

Il sole sovrastava a noi la testa
e il mite sembiante agli occhi spinse
d'amore e gioia a ricovrirne un manto.
Ali ai vaghi pensier novelli desta
e non so come e quando mi si 'stinse
in ora così presta il dolce canto.
Perdut'è 'l trepido calor, l'incanto,
ed erro per selve com'om cercando
un simulacro suo d'imago o voce
simulando poi dir che: "non è croce!"
fingendo il tutto van ma vo pregando
e cado a terra e immane dolor verso
e ciò che ver nella vita c'è ho perso.

Poi chieggio a Dio la luce che mi guidi
'sì che mi desti al dolce porto quiete.
"Vani discorsi te n' vai teco ansando!..."
'sì mi parla voce (sembra non m'arridi!)
"Signor del ciel, che il tutto sai e 'l potete,
nascondimi ve n' prego al tuo bel canto"
Tutt'è vano di ciò che un dì fu vanto!
Un rivo amaro mi sorge sul ciglio
e fremo e non so più dove io mi sia
e grido senza voce, spento, muto.
Che rimarrà?... in te più non m'appiglio;
fuggendo in nessun loco trovo pace
e il sonno vince e placa e tutto tace.


Nessun commento:

Posta un commento