domenica 20 gennaio 2013

Quattro momenti su tutto il nulla - coscienza e conoscenza

Momento 2°


Che dire? Niente. Sogno d’essere un tale che intestardito d’esserci ci pensa. Lasciamolo pensare. Nulla esiste e, ammettendo che esista, non potremmo conoscerlo. E se ci fosse possibile conoscerlo, non avremmo alcun modo di comunicarlo. Suona così nei secoli dei secoli il ceffone di Gorgia a quel Parmenide che ha inventato l'Essere, identificato con il pensiero. Basta! Sgombriamo il campo recinto dallo specifico impensierato, le sabbie mobili di ogni filosofia linguistica, sgombriamo il campo da qualsivoglia impossibile comunicativa destinazione, abortita ogni smania e insulsa del proferire ad essere compreso. Tutto che mi si è appreso nei mill’anni, che mi s’è appreso sì come appiccicato addosso ma disappreso. Ho in orrore parola e pensiero e non soltanto perché mascherato sotto sghignazzi, smorfiato l’auto inganno, l’errore, ma parola e pensiero intesi proprio in quanto illustrazioni, immagini, colorati segni di che si veste ogni speculazione linguistica. È un’onta questa, un’onta ottica, più che ontica, a fastidiarmi e come. Stracolorata figura è ogni scrittura cartacea o detta. Saussurre chiama ‘immagine acustica’ il significante, la voce è stradipinta, volgarità espressiva imputtanata dell’orale intenzionato che è rosso fin nelle più bambine articolate sillabe. Vento al vento, soffiate. Questa voce, questa mia voce che qui ora mi ciabatta, distorta nell’erranza del discorso, nello sconcerto evento dei miei spettacoli oltre il senso (teatro senza spettacolo) è il senso, è ricerca impossibile come rigorosa impossibilità del trovare. Questa voce si fa cesura tra parola e cosa, tra linea e forma, tra voce e lògos, tra detto e dire, tra attore e ruolo nella rappresentazione disattesa, mancata. Questa voce è quanto si sottrae al linguaggio, ne spettina, ingarbuglia la comprensione intollerabile come un timbro prodotto dalla simultaneità di due vibrazioni che non coincidono esattamente. Il lavorio della cavità orale provoca la spaccatura attore-ruolo, ma anche al suo stesso interno questa stessa voce vomita sulla scena l’abbiezione del senso e del soggetto in una plurivocalità del dire, che consente di sentire in molteplice all’interno della parola. È come ha detto in merito Camille Dumoulié, è introdurre sulla scena colui il cui nome è legione, il dia-bolico contro il sim-bolico.
Macbeth - Aaaahhh!... No! Chi di voi ha fatto questo?... Non puoi dire che sono stato io... E non mi scuotere in faccia i tuoi capelli insanguinati. Guarda guarda... guarda!
Einstein concepisce la conoscenza come la cosa più incomprensibile dell’universo. Ogni larvata forma di conoscenza è indissolubilmente ancorata alla mediazione linguistica che ci condanna alla perversione del significato, a una presunta oggettità altra rispetto al sedicente soggetto che la designa. L’umanità parlante ha da rassegnarsi alla necessità gratuita della mera nominazione orfana del soggetto e dell’oggetto. Se cerchiamo di considerare lo specchio in sé finiremo per scoprire su di esso nient’altro che le cose, se vogliamo cogliere le cose ritorniamo in definitiva a nient’altro che lo specchio: questa è la più universale storia della conoscenza, chiosa d’un genio, contraffazione ottica, appunto, da cui il famigerato guardarsi dentro, autentico strabismo che nell’equivoco di una risibile sfera interiore tanta insania ha definito‘coscienza’. L’Amleto che se ne scopre privo si proclama, in mala fede, vigliacco. 
Orazio - ... lo spettro che ho veduto potrebbe essere il diavolo; se vuole un diavolo può assumere gli aspetti anche più cari; un diavolo, potentissimo com'è, può cogliermi in quest'attimo di spleen e malinconia e menarmi a perdizione. No!... Non mancheranno altre più serie occasioni al mio intento [...]
Orribile orribile troppo orribile!... Se c'è ancora in te sentimento umano, tu non puoi sopportare tutto questo. Non permettere che il talamo regale di Danimarca sia ridotto a uno strame per la lussuria e l'incesto abominevole [...]
Essere o non essere, questo è il problema?... Forse più nobile ....... o ribellarsi........ morire dormire più nulla?!... E con un sonno fermare i battiti del cuore e le infinite offese della carne?!... .......... Morire dormire dormire forse sognare... Si racconta più di un assassino che sedendo a teatro ad ascoltare un dramma preso e profondamente scosso dall'artificio scenico subito lì dov'era rivelò il suo delitto?!... Io farò questi attori recitare un qualcosa di simile alla morte di mio padre davanti a mio zio?!... Ne seguirò il contegno, lo toccherò sul vivo?!... Se appena ha un fremito saprò il da farsi?!... Il dramma è la trappola in cui sorprenderò la coscienza del re... Puah!...
Baritono [zio Claudio] - Padre ti sono ancora. / Lo credi a questo pianto. / Il volto mio soltanto / fingea per te rigor.
Orazio - ... Ora è il momento giusto, ora che sta pregando, ora lo faccio?!... Così va in cielo e io son vendicato?!... Ma... un momento un momento: la canaglia mi assassina il padre e da quell'unico figlio che sono, quella stessa canaglia la mando in cielo?!... Questo è render servigio e non vendetta?!...
Quanto ai rimorsi di coscienza, Villiers de L'Isle-Adam in uno dei suoi splendidi e feroci Racconti crudeli narra d’un vecchio attore sopravvissuto alla sua lunga carriera sprecata nella rappresentazione simulata dell’altrui vissuto, frequentato soltanto come lettera vuota, riferita dalla cadaverina dei defunti testi; vecchio attore che, finalmente preso dalla curiosità di sinceramente sperimentare un tantino d’umano in vita autentica, si dispone a concedersi una vera passione e tra le tante decide per il ‘rimorso’. Incendia tutt’un quartiere parigino e spettatore tra la folla esterrefatta, compiaciutissimo, ne contempla l’orrifico esecrabile disastro; s’apparta quindi in un vecchio faro costiero, un habitat di cui ha già provveduto a farsi eleggere guardiano, e qui s’infervora a sfogliare la tantissima cronaca nera del suo misfatto, evidenziato ovunque a tutta pagina dall’indignata stampa nazionale, aspettando fiducioso l’insorgere sacrosanto dei rimorsi che tuttavia tardano a manifestarsi. I rimorsi da lui devotamente sollecitati, incrementando intanto l’entità del proprio crimine con il provocare catastrofi marine omettendo o alterando i segnali opportuni. Scorrono giorni e notti in vano. Niente! Nessun rimorso. Nessun rimorso inquieta la sua coscienza. L’etica non ha senso di colpa, né rimorsi.
Baritono [zio Claudio] - Come il bacio di un padre amoroso
l'abbi tu bel mio amato stranier.
Come il bacio di un figlio pietoso
a me burlo, figuri figuri il pensier.
Amleto - Io che ho esordito con il dovere
di rammentarmi l'orrido
Orrido orrido orrido evento
Per esaltare in me la pietà filiale
Per far gridare l'ultimo
L'ultimo grido al sangue
di mio padre mio padre mio padre...

Io che ho voluto riscaldarmi il piatto
Riscaldare il mio piatto della vendetta
Ecco che invece ho preso
Ho preso gusto all'opera

Mi scordai di mio padre
Mio padre mio padre
assassinato il bravuomo
assassinato

Mi scordai di mia madre
Prostituita
(M'ha distrutto la donna questa visione)

Il mio trono ho scordato
il mio trono il mio trono

Me n'andavo a braccetto d'un bell'argomento
Il mio trono il mio trono

Che mostro Istrione, sì...
Musicalissima incoscienza. E qui si che l’etica fà scempio della morale, paternità e regalità oltraggiata, irresponsabilità d’amor filiale, maternità ingombrante prostituita, contenuti e valori storici svuotati dalla pura beltà dell’argomento, onorabilità dimissionaria, social-civile dovere pubblico obliterato, mutuo soccorso e concetto di prossimo dissolti, popolo e patria esplosi, umanità e umanistica cultura vilipese, siccome solo in sogno t’è dato di sognare. Cultualità [è] il lavoro salariato, riconsegnati a loro, al disonore: condominio, famiglia: in pattiumiera; gioventù impensierata: agli arresti, ma subito: agli ar-re-sti.

Con Sade e Masoch, l'infortunio dell'etica coniugata alla morale (la morale della legge, del bene, della volontà del giusto) ha conosciuto le sue vertigini. Infortunio accecato, travolto dall'irruzione del comico nel pensiero, nella scrittura extra-linguistico-letteraria. Così più o meno Deleuze: "vi è stato un solo modo di pensare la legge, una comicità del pensiero fatta di ironia e umorismo". Più  di qualcuno ha riconosciuto in Sade la più alta e significativa persona etica della umana storiella. Non v'è niente d'erotico in Sade; v'è tutt'altro. Nella ripetizione orgiastica de-ri-sessualizzata all'infinito dall'apatia del fantasma sadiano, fino alla prostituzione universale, oralmente invocata da Sade nella Filosofia nel boudoir, dalla calunnia, al furto, all'incesto, allo stupro, alla sodomia, al delitto, eccetera... Prerogative queste elette a istituzioni fondamentali d'ogni rigorosa repubblica. L'umorismo erotico pervade tutta l'opera di Masoch. Comico e porno invece vanno a braccetto in Franz Kafka. L'edificio sadiano è strutturato a scatole cinesi: nella più grande c'è la più piccola, nella più piccola l'impossibile. La spropositata emissione di sperma equivale alla quantità di salivazione retorica: stupro e sodomia del linguaggio nella criminalità della scrittura. La trasgressione del linguaggio è la trasgressione morale. E di fatto la poesia, non il poetico dell'anima bella, per dirla con Roland Barthe, ...la poesia, che è il linguaggio stesso delle trasgresioni del linguaggio, la poesia è sempre contestatrice. Come Rimbaud ha sculacciato la bellezza, Sade ha ecceduto il linguaggio nella criminalità della scrittura, vanificandone ogni possibile lettura a livello di rappresentazione letteraria del reale, ridicolizzando ogni interdizione interventistica della legge, nel suo e nel nostro tempo. Della legge, che insiste ancora nell'interdire la diffusione delle sue opere, la cui mostruosità consiste essenzialmente nel cortocircuito frastico del discorso, nell'ironia esasperata dalla reiterazione orgiastica dove il fatto coincide con tutto detto (il toute dit), già raccontato ai protagonisti libertini della perversione puntualmente serale delle narratrici. L'oltraggio irrappresentabile come attentato sadiano alla moralità della scrittura, nel corpo di un suo libro. Una pagina, quasi una velina, sembra sovrapporsi a un'altra e quest'altra a un'altra ancora, nello stesso tempo, moltipicando lo strabismo del lettore. Quest'oltraggio non costituisce una lettura de-genere, ma è decisamente fuori da ogni ordine letterario. Mai come in questo nostro tempo, tra i più sanguinari e insignificanti, mai s'è tanto abusato di parole quali fratellanza, governo, solidarietà, tolleranza, pacifismo, ecc... Mai nessun altro tempo fu come questo così parodisticamente etico e perciò risibilmente amorale; mai nei suoi singoli infettato da plusvalori di moralità, tanto che si è costretti a sconfinare nella cronaca nera per reperirvi una qualche figuraccia patologicamente etica. Siamo asfissiati da una massa così sciatta, amorfa e, paradossalmente, intraprendente, che non ci sentiamo in compenso oppressi - finalmente! - da nessuno equivoco moralistico. E non è poco. Nell'insignificanza della tirannia delle plebi, il vilipendio banale della pornografia contemporanea, nella idolatria insensata della società delle immagini, travolta dalla sua propria volgare insulsaggine caleidoscopica nelle edicole e nei ritrovi a luci rosse, è il motore della parola nella clonazione mediatica di massa, irrimediabilmente assordata dal mercatino delle visioni, nel cimitero planetario della vocalità tumulata. Una massa accecata e perciò inetta ai davvero trasgressivi invisibili piaceri d'ogni lettura scritta, in balia dei valori moralistici d'accatto, incapace di ridere delle nomenclature. La legge è il desiderio represso eccetera... Una massa ignobile al punto da stupire della frequenza del crimine consumato in seno alla sua stessa famiglia, perché non riesce a considerare la famiglia come crimine. Quanto ai comportamenti del femminile odierno, pur di adeguarsi alla volgarità politica del mercato, la donna si traveste di tutt'altro, degenerando in ibrido, fino alla più funesta conseguenza: abdicare alla propria congenita stupidità, invidiabile, alla spensieratezza, in cambio della sciagurata omologazione sociale, nella sua pensierosa mascolinità impotente. E dire che, per non so quanti vite consacrate all'esercizio scenico del de-pensamento, flettendo fino al ridicolo l'algido irrompere del comico nell'immediata sospensione del tragico, smemorato, mentecatto, immemore nell'abbandono, il più dis-voluto, proprio spiando l'idiozia dell'arte, ho perseguito - e quanto devotamente! - la beatissima grazia della stupidità.
Sono ancora vergine! Che diranno le mie amiche?! Quanto saranno gelose! Sono sposate a dei filistei; per loro quella certa cosa è capitata pesantemente, brutalmente, subito dopo il ballo, senza che vi fossero preparate; prima di potersi raccapezzare, sono state giusiziate, si sono beccate quella certa cosa come l'ultima mazzata d'una giornata sfiancante. E io, invece, eccomi qua fresca fresca: arroventata dagli amplessi della notte, con davanti a me tutta una giornata per far galoppare l'immaginazione e aguzzare i nervi nell'attesa. E' proprio vero, gli artisti restano artisti in tutto. Ah, l'arte!, come dice il mio buon principe. Sono felice! Quanto saranno gelose le mie amiche!

[... Ma a che ora s'è alzato?... Ha lavorato
... Mica tanto divertente. Bisognerà che li legga tutti i suoi libri. Oh! quanto l'amerò! ]

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